domenica 3 giugno 2007

Lo Zero del sabato sera

«Io dovrei tacere per il culo che mi ritrovo ad avere una famiglia cosìììììììììì…». E vola verso l’alto dell’Olimpico l’urlo dei sorcini. Queste le parole d’esordio di Renato Zero ieri sera al concerto tenuto nello Stadio della sua Roma. Dopo la quinta canzone ed aver rivolto parole di saluto al pubblico, parla di problemi relativi alla famiglia di cui tanto si sta parlando negli ultimi tempi. E conclude rivolgendo questo complimento al suo proselito.




Ma facciamo un passo indietro. «Già alle 9 del mattino ai cancelli c’erano circa 30 persone» - è quanto racconta Francesca, sorcina di Potenza che a Roma si trova perché universitaria e che a Roma, nel 2002, ha scoperto questo amore per Renato, grazie alla canzone Libera, contenuta nell’album La curva dell’angelo (2001).
Incredibile, ma vero. Addirittura ben 12 ore prima dell’inizio c’è stata gente che, pur di accaparrarsi i migliori posti per ammirare più da vicino il proprio idolo, non ha risparmiato pazienza, e messo da parte la stanchezza. Poi tra le 13 e le 14 inizia a popolarsi l’area antistante lo Stadio. L’apertura dei cancelli è alle ore 17 per la curva e il prato e alle ore 18 per la tribuna.
L’inizio è fissato alle ore 21. Prima, però, si esibiscono gli amici di Renato. Nell’ordine, salgono sul palcoscenico: Antonio Toni, Miodio, Jasmine, Daniele Groff e Mariella Nava. Poi l’attesa al suon del grido «Tre, due, uno…Zerooooo!». E Renato si fa attendere. La serata è piacevole. Il clima è mite, e l’atmosfera si scalda per l’attesa. A chi, ignaro di quanto stesse accadendo, fosse entrato in quel momento nello Stadio Olimpico, sarebbe sembrato che si dovesse disputare la finale della Coppa dei Campioni, vista l’affluenza. Ma di Campioni nella serata, Zero.
Poi ad un certo punto parte la musica dagli altoparlanti del palcoscenico, nell’occasione allestito come un registratore. I fan sono in delirio. Poi lo stacchetto d’apertura con i 12 ballerini che accompagnano lo show e che torneranno in scena durante le esibizioni di Renato. Finite le danze iniziali, lo schermo sullo sfondo presenta più sipari di colore rosso che si aprono a tenda. E alla fine…Sì, è proprio lui in persona: Renato. Si comincia con Io uguale io. Prosegue con le altre quattro canzoni della scaletta. Poi, dopo Siamo eroi, il sopraccitato saluto al pubblico.
Alla fine dell’undicesima canzone, Artisti, si manifesta la sua sensibilità, quando dice: «Volevo accogliere una piccola luce sopra questo stadio questa notte. Oltre ad esserci noi con i nostri entusiasmi, con la nostra fantasia, con i nostri amori sconsolati, questa qui allo Stadio Olimpico c’è un angelo che ha ricevuto le ali da pochissimo tempo ad appena 13 anni. È salita su Annarita e questa sera non ha fatto il biglietto. E sta lì e guarda…Ti vogliamo bene amore. Ti vogliamo tanto bene». Qui i presenti scrosciano applausi. E continua: «Sì questo applauso ci vuole, perché quando la violenza è troppa per i bambini, quando è troppo il dolore per i loro genitori, ci vogliono gli applausi perché applaudiamo la volgarità di questi tempi, applaudiamo il crimine che la fa franca, applaudiamo questa società nuda, che soffre, influente con la mano, senza clamore. Annarita che vorrei di là. Anche quella è Roma. Non dimenticatelo mai. Anche quella è Roma».






Poi si passa da un momento “sentito” ad un dove viene fuori il Renato istrionico e show-man, con la canzone Profumi, balocchi e maritozzi. A metà spettacolo, dopo Sono innocente, Renato si rivolge di nuovo al pubblico:. «Devo raccontarvi della fatica che facciamo noi liberi professionisti, noi ricercatori dell’emozione, noi fabbricatori di brividi. Facciamo una fatica immane. Non solo quelli che militano sul palcoscenico, ma tutti noi che andate un pretesto, una motivazione perché questa gioventù non vi sfugga dalle mani impunemente, che vi dia l’opportunità di raccontare ai vostri figli come una meravigliosa epopea, una formidabile occasione di poter dire: “C’ero anch’io”». Tripudio nello stadio. Poi: «Ma, ahimé! Gli asili chiudono. Pedofili ovunque. Figuriamoci un po’ se si può parlare di prendere spunto da qualcuno. E allora sapete che cosa vi dico? Che conviene guardarsi un pochino attorno e neanche troppo in là. Fare pochi centimetri a volte è già sufficiente per capire che abbiamo forse vicino un talento, un genio, qualcuno che può veramente illuminarci la strada. Perché le scuole, perché tutto quello che comunemente viene indicato come propedeutico per migliorare la nostra cognizione umana, questa cultura di cui si parla. Ma Shakespeare, anche lui andava al cesso. Trombava anche lui. Anche lui si scaccolava. Pirandello…Ma Pirandello avrà fatto anche lui cazzate nella vita. La cosa importante è che noi riusciamo a priori, che cerchiamo proprio questo contatto. Quando avevo 15 anni bazzicavo l’RCA di Roma e ancora non avevo una scrittura e vedevo passare di fronte grandi artisti, mi davo dei pizzicotti, dicevo: “Ma forse dormo! Forse sto sognando! Allora, grazie a queste contaminazioni e io, malgrado non fossi stato riconosciuto come figlio legittimo da questa nostra società italiana,…Con una certa riluttanza - devo dire - mi adottarono. Però io non stetti lì come un salame aspettando la carta da bollo e il timbro e il visto che io avrei potuto militare sul palcoscenico, perché mi ero già contagiato di poesia. E questa sera vi garantisco che ho uno di quei poeti sotto mano e voglio farvi omaggio di questa meravigliosa presenza. Ascoltate bene da dove si attingono questi valori». E parte la musica . le note sono quelle di Che cosa c’è. Renato comincia a cantare. All’improvviso si sovrappone alla sua voce un’altra, dall’accento genovese. È di scena l’ospite: Gino Paoli. Il duetto Zero-Paoli continua con Sapore di sale e Una lunga storia d’amore. Poi, alla fine di queste interpretazioni, Gino Paoli saluta il pubblico, e Renato promette: «lo avremo con noi anche più tardi».
Lo spettacolo continua. Però l’ordine della seconda parte dello show cambia rispetto a Padova. (v. scaletta sotto). Si prosegue con Sosia, Immi Ruah, Baratto e Accade. Poi di nuovo un appello del cantante. Questa volta si parla del Lido di Ostia. Renato pone attenzione ad un argomento trattato nello steso giorno anche nelle edizioni romane del Corriere della Sera e di Repubblica. Ecco le sue parole: «Mi piacerebbe rivedervi a Ostia. In quell’improbabile e un po’ confusionario Lido di Ostia. Altro che la California! È la Roma che si offriva volentieri al panino o alla frittata con i ragazzini che riempivano le macchine e quelli che non stavano in macchina andavano in bicicletta col padre sulla canna. A Castelfusano li vedevi dove c’era più ombra, dove il sole picchiava di meno. ’Sti romani pieni de bbona volontà che quanno è sera s’adivideno il lettone. Non c’erano problemi. A voglia a scrivere canzoni da quelle parti. E tutti noi siamo stati parecchie giostre a Ostia. Come si fa a esse’ romani? Dovrebbero fare prima o poi un testo scritto per quelli che hanno perduto la memoria e si fanno sopraffare dal primo straniero rotto in culo che viene qui. Io vorrei che si dicesse qualche cosa. Dal momento in cui una sorta di prontuario nel momento in cui ognuno di noi dovrebbe recuperare la natura e i connotati. Noi non ci frequentiamo più tanto perché troppo pochi ci hanno risucchiato, ci hanno violentato. Con tanti mali un po’ però bisognerebbe recuperare, non dico la vecchia Cinquecento, ma quell’entusiasmo di allora per ritornare su questa cazzo di spiaggia di Ostia e raccontarci come siamo felici di essere romani. È vero o no? È vero o no che siamo forti?». E il popolo romano va in delirio. «Io devo dire che siamo un po’ sfondati perché mi sono lasciato ascoltare un po’ fuori di Roma con un certo aplomb. Ho cercato di non far pesare che siamo dei geni. Per esempio a Milano, dove c’è una civiltà così conclamata. Dove dicono che non c’è bisogno di prendere il sole perché nascono già abbronzati. A un certo punto io mi sono fatto conoscere un po’da tutte le parti di questa penisola. E l’ho fatto in punta di piedi non stando lì a rimarcare troppo quella che è la nostra natura, la nostra gestualità, il nostro linguaggio così greve, ma così toccante e così efficace. E questo mi ha in un certo senso premiato perché penso: “Sò cazzi nostri!”». Però, ecco, io ho portato avanti questo discorso. Mi hanno amato questi toscani, questi piemontesi, questi calabresi, questi siciliani. Lo hanno davvero fatto con grande dignità. Ho portato Roma sempre con me a rappresentarmi e devo dire che questo premia, quindi…Tutto questo serve a dire che non siamo gli ultimi, ma forse i primi. E andiamo un po’ sul bagnasciuga, stendiamo il nostro pareo. Pronti che arrivo…». E tutti intonano le parole di Spiagge. Si va avanti con Sesso o esse, seguita dalla presentazione della band. Poi è la volta di Mark Harris, il pianista, di origini americane, ma stabilitosi qui in Italia «perché Bush non lo vuole più indietro» - riferisce scherzando Renato. E il musicista non manca una sua battuta in dialetto sardo, su richiesta di Zero, che alla fine dice: «’sti stranieri ce copiano tutto». Finito questo stacchetto, un «regalo di un amico». E sulla colonna sonora di Magari si esibisce Gino Paoli. Dopodichè saluta il pubblico e lascia il palco a Renato. Il re dei sorcini, riferendosi a chi lo ha sostituito, dice: «Forse molti di voi stanno qui eppure non lo sanno a chi devono dire: “Grazie!”. Stasera glielo potete dire a Gino Paoli che quella sera famosa quando suonava Sapore di sale e riecheggiava in una camera da letto, quei due teneroni dei vostri genitori si sono lasciati andare ad una confidenza che poi vi ha portato a queste emozioni. Quindi dovete dirgli: “Grazie!”. Di poi scorrono le note de L’impossibile vivere. Segue Triangolo e D’aria e di musica.





Dopo questa esibizione, si ripete uno scenario gia presente nello Zero Movimento Tour 2006: Renato rientra in scena e a gran voce: «Grazie Roma. Grandi…grandi…». E fa il gesto come di contare i presenti e salutarli a uno a uno. Ecco, penultima canzone Fammi sognare almeno tu. Infine, Il cielo. La stessa conclusione di sette giorni fa. «Voglio dire con parsimonia, con molto garbo, che vi sono entrato in casa, vi ho contaminato di questa disperazione bella che è l’amore, che è l’amicizia. E voi m’avete lasciato entrare. Ne son passati d’anni. E questo credo che sia importante, di essere arrivati qui con lo stesso sorriso, con la stessa identica fedeltà. A proposito di quello che fate per me, vorrei che lo giraste a vostro vantaggio. Tutto quello che dimostrate a me quando vi chiamo qui a prestare la vostra complicità datelo anche a questa Roma che si sta spopolando di entusiasmi e di grandi complicità. Fatelo per bene, finché io vivrò». E mentre la commozione gli soffoca la voce: «Ciaooo….». E lo stadio esplode. E mentre se ne va, dice: «Non dimenticatemi, eh!».
Finisce così questo sabato zerofolle. Mentre l’orologio dell’Olimpico segna mezzanotte precisa e i circa sessantamila spettatori lasciano spalti e prato. In questa puntata è mancata una canzone : Più su. E la notte si ripete uno scenario già presente la mattina al centro con la parata in onore della Festa della Repubblica: traffico e mezzi di trasporto bloccati.
La Festa della Repubblica e la Festa dei sorcini, nel 2007, hanno entrambe trovato la loro cornice temporale nel 2 giugno.


Pasquale Geusa
I vostri commenti
...Mah, ho già espresso le mie idee sul discorsetto qualunquistico-patriottardo di Renato... e poi, i milanesi abbronzati senza sole... lo venisse a dire da noi... ma se ne guarda bene, il furbo.
postato da Daniela mercoledì 2 giugno 2007 alle ore 21:32

2 commenti:

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Anonimo ha detto...

...Mah, ho già espresso le mie idee sul discorsetto qualunquistico-patriottardo di Renato... e poi, i milanesi abbronzati senza sole... lo venisse a dire da noi... ma se ne guarda bene, il furbo.

Daniela